
Vigne vecchie o vigne giovani? Questo è il dilemma!
Meglio le vigne vecchie per la complessità che conferiscono al vino oppure quelle giovani che danno caratteri varietali ed esuberanza?
Di Donatella Cinelli Colombini
Gli agronomi e gli enologi ne discutono da anni. La cosa sicura è che le vigne vecchie portano a maturazione un’uva di buon livello anche nelle annate più sfavorevoli ma producono poco. Cioè sono qualitativamente più costanti e capaci di eccellere in qualità ma quantitativamente sono più deboli.
Resta da vedere da che parte pende la bilancia. Uno dei maggiori sostenitori dei vigneti vecchi è Alain Carbonneau
professore emerito che tutti considerano una sorta di genio della viticultura. Le sue parole sono il filo conduttore di un bellissimo articolo della Master of Wine Sally Easton in The Drinks Business. A suo avviso, la complessità e l’eleganza dei vini provenienti da vecchi vigneti non hanno eguali, soprattutto nelle varietà tardive con il Cabernet Sauvignon e il Carignan.
Château Ausone e Château Mouton Rothschild, molti vigneti della Languedoc producono i vini di punta dalle vigne più vecchie. Ma cosa si intende esattamente per vigne vecchie? Ovunque, salvo in Australia, il vigneto viene considerato vecchio a 25 anni cioè quando
comincia a perdere produttività. E’ solo nella terra dei canguri che questo termine si allunga ai 40 anni. Questo corrisponde a un’innalzamento dell’ “adolescenza” del vigneto che in Australia è di 20 anni mentre in Europa è di 10. Si tratta del momento in cui la vite diventa “maggiorenne” e inizia a dare uva di grande livello.
I pregi dei vecchi vigneti sono nella maggiore capacità di adattarsi alle avversità climatiche, soprattutto la siccità prolungata perché succhiano acqua dagli strati profondi del terreno grazie al loro
apparato radicale più esteso. Questo rende più costante il livello qualitativo dell’uva e del vino. Le viti vecchie sono meno attaccate da oidio e acari; i vini sono più complessi, concentrati e meno varietali per cui emergono gli elementi di mineralità che spesso, nei vini ottenuti da vigneti giovani sono sovverchiati dall’impronta del frutto. Un’esuberanza varietale, espressiva e potente che, per esempio, piace molto in Nuova Zelanda, dove infatti prediligono i vini dei vigneti giovani.
Considerando le controindicazioni dei vecchi vigneti va ricordato che sono infestati da virosi, nematodi, termiti e altri guai come il mal dell’esca. Alla fine ci sono tante viti morte, le così dette fallanze. I tentativi di sostituirle con nuove piante, hanno scarsi risultati, infatti anche piantando viti coltivate in vaso, la percentuale di attecchimento è piuttosto bassa. Il risultato è un vigneto disomogeneo. L’unico sistema veramente
efficace per garantire una lunga vita ai vigneti sembra essere la potatura di Simonit & Sirch che prevede l’eliminazione dei grossi tagli e la conservazione dell’integrità della parte perenne << e la pianta non può vivere a lungo se viene continuamente ferita e riportata indietro>> dice Marco Simonit.
Stanno arrivando anche i “restauratori” dei vigneti. Agronomi che studiano il restyling dei vecchi impianti e li rimettono in equilibrio. I primi esempi in Lombardia, Veneto e Piemonte. Saranno forse questi pionieri a dare lunga
vita ai vigneti piantati oltre 50 anni fa.
Io ho dovuto estirpare le vigne vecchie che erano impiantate con cloni poco qualitativi e soprattutto erano decimate dal mal dell’esca. I nuovi vigneti sono stati progettati e realizzati con la massima cura e spero che vivranno 50 anni; sostituisco le viti morte e uso la potatura Simonit -Sirch proprio a questo scopo. Sono convinta che l’uva di Sangiovese per i Brunello da leggenda, quelli con complessità che fanno sognare, nasca proprio nei vecchi vigneti coltivati in modo impeccabile.