Le cantine che guadagnano di più in Italia
Sassicaia, Antinori e Frescobaldi i toscani vincono nel rapporto fra fatturato e profitti. La classifica di Anna Di Martino sulle cantine che guadagnano di più
Di Donatella Cinelli Colombini
Le più grandi sono GIV-Cantine Riunite con 547 milioni di fatturato per 208 milioni di bottiglie. Seguono Caviro (226mil.ni) e Zonin (160 mil.ni), ognuna con grandi utili, anzi apparentemente tutta le 110 cantine guadagnano. Ma la parola magica di questa classifica non è il volume d’affari quanto piuttosto la redditività cioè la sigla Editba che vuol dire utili prima delle tasse e degli oneri finanziari. Dall’analisi sulle 110 più grandi cantine italiane, che Anna Di Martino ha pubblicato sul Corriere della Sera, si nota che i profitti arrivano più dalla qualità che dalla quantità. Svettano Tenuta San Guido di Incisa della Rocchetta, Frescobaldi e Antinori, cioè tre antichi e nobili casati toscani alla testa di brand enologi che producono eccellenze di fama
mondiale: Sassicaia, Masseto, Tignanello …. Oltre alle percentuali sono le cifre dei profitti che fanno sgranare gli occhi e sbiancare d’invidia: 81 milioni di Euro per Piero Antinori, 32 per i Frescobaldi, 15 per San Guido. Ma è la mitica cantina del Sassicaia la vera miniera d’oro con uno sbalorditivo rapporto del 54,8% fra il fatturato e l’utile operativo lordo. Che spettacolo! Il Marchese Incisa ottiene il suo volume d’affari di 28 milioni di Euro con sole 1,2 milioni di bottiglie. Bravissimo! Al di la dei dati curiosi di questa classifica vale la pena fare una riflessione: la produzione vinicola italiana è frammentata in 310.000 aziende ed ha un fatturato
complessivo di 12,4 miliardi ma le 110 cantine studiate da Anna Di Martino producono il 43,7% di questo business e il 58,4% dell’export. Ciò significa che le tante piccole cantine che popolano le nostre campagne sono un presidio per i territori, uno strumento di salvaguardia per il paesaggio e l’ambiente ma non una reale risorsa economica. Il business e i profitti rimangono infatti nelle imprese grandi e organizzate che comprano uva e sfuso dalle imprese agricole e possono investire in ricerca e marketing. Un equilibrio instabile e forse troppo squilibrato da prendere sul serio. Nella classifica della Di Martino sono evidenti i lauti guadagni ottenuti da molti imbottigliatori, cioè dalle grandi imprese che comprano uva o vino, lo confezionano e lo commercializzano: Zonin, Santa Margherita, Mondodelvino, La Gioiosa … Fra quelle che operano nel territorio senese mi colpisce Castellani con un utile lordo del 31% sul fatturato, che lo
pone al 5° posto fra le cantine che guadagnano di più in Italia. Evidentemente, è nella parte commerciale della catena produttiva che si ferma la ricchezza del vino, mentre i produttori di uva o le piccole cantine familiari, stentano a andare avanti. Il sopra citato indice Ebitda è infatti molto più alto nelle aziende vinicole industriali che nelle cooperative dove i vignaioli entrano nella compagine sociale.
Piccola nota dispettosa, prima di chiudere: nella classifica ci sono cantine con una produzione di oltre dieci milioni di bottiglie che hanno poco più di trenta ettari di vigna, dichiarano di non comprare ne uva ne vino ma in compenso hanno un bellissimo utile. Infine ce ne sono molte che, grazie ai loro vigneti rimangono agricole e con tassazione agricola anche se hanno un volume d’affari multimilionario.
Il mondo del vino è insomma uno specchio dell’Italia con le sue contraddizioni e i suoi colpi d’ala, con il suo coraggio e la sua diseguaglianze …. Ma è anche uno dei pochi comparti economici che funziona. Solo che andrebbe migliorato, in fondo sono proprio le vigne la cosa più indispensabile e preziosa.