Sicilianicreativiincucina alias siciliana creativa in cucina
Ada Parisi poetessa, giornalista, chef, blogger …. ci rivela le gioie e i sacrifici di chi trasforma la passione per la cucina in eccellenza da condividere
Le domande di Donatella Cinelli Colombini all’autrice di sicilianicreativiincucina uno dei blog più appassionati e divertenti sulla cucina tradizionale e creativa.
1. Ada Parisi si racconta. Sono prima di ogni cosa siciliana. Sono lontana ormai da anni dalla mia terra, ma tanto più mi sento profondamente orgogliosa di appartenere a un territorio con secoli di storia, ricco di contaminazioni culturali. Sono anche giornalista professionista, lavoro in una agenzia di stampa nazionale e guido il settore cronaca-interni. Amo leggere, scrivere poesie, viaggiare e soprattutto conoscere, perché in ogni cosa nuova o diversa ci sono infinite possibilità di apprendimento e di cambiamento. Ovviamente amo cucinare, passione che con il tempo è diventata sempre più forte. Nella cucina trovo la sintesi di ciò che mi piace: invenzione, creazione, fantasia, ma anche precisione e tecnica, sacrificio ed entusiasmo, obiettivo e risultato. Dopo 7 anni a Milano, ora vivo a Roma da 8 anni.
2. Perché non vuoi farti chiamare food blogger? Perché sono una giornalista e una cuoca: sostanzialmente ho già due lavori che mi definiscono ampiamente. Ho aperto un sito internet solo perché era l’unico modo per fare conoscere le mie ricette e, quindi, le mie idee in fatto di cucina, sostenibilità alimentare, valorizzazione dei prodotti made in Italy. Per questo, non mi sento una che ‘parla di cibo’, ma una che ‘fa cibo’ nel senso più artigianale del termine.
3. Ada Parisi più giornalista oppure più chef? Come riesci a conciliare questo e quello? Ho un’anima divisa a metà. Le mie due vite si toccano quando, come giornalista, riesco a ritagliarmi degli spazi per occuparmi di enogastronomia. Tra l’altro, cerco di portare anche lo stile giornalistico nel mio sito, scrivendo solo ricette di cucina (senza chiacchiere o coinvolgimenti troppo personali), cercando di essere precisa nella citazione delle fonti,
nelle spiegazioni, nei rapporti tra me ed eventuali aziende con cui collaboro. Perché credo molto in un modo etico e chiaro di fare informazione anche in cucina. Per conciliare le due cose, è sufficiente non avere tempo libero, ovvero dedicare metà giornata al lavoro e l’altra metà alla cucina, salvo le ore di sonno…
4. Cosa prevedi nel tuo futuro e qual è il tuo sogno impossibile? Spero di riuscire a fare bene anche in futuro sia la giornalista sia la cuoca, ma certamente mi piacerebbe aumentare la parte ‘pratica’ della mia vita in cucina: mi piace molto dare lezioni di cucina, perché trovo che il contatto con persone curiose e desiderose di imparare serva a
migliorare anche me e il mio approccio alla cucina. Un’altra cosa che mi piacerebbe fare è cucinare più spesso in locali o cantine, per eventi particolari o semplicemente per portare una prospettiva diversa sulla cucina rispetto a quella di altri chef, magari facendo dei piatti ‘raccontati’ in modo esperienziale. Il sogno impossibile, ovviamente, è vivere davvero di cucina, ovvero fare lo chef a tempo pieno. Un altro sogno, forse non impossibile, ma comunque difficile, è pubblicare un libro con le mie ricette e le mie idee, che non segua le tendenze imposte dagli editori ma che sia davvero specchio di ciò che sono.
5. Esperti di cucina si nasce o si diventa? Credo entrambe le cose: il talento secondo me esiste, ma va coltivato, educato e anche ben diretto. Si assorbe la passione per la cucina dall’ambiente familiare e si sviluppa la voglia di ‘mettere le mani in pasta’ e sperimentare, ma la passione non è sufficiente. La differenza la fanno la curiosità, lo studio e la voglia di migliorarsi continuamente: si deve sempre studiare, tenersi aggiornati, leggere, provare cibi, abbinamenti e tecniche nuove. Solo così si può crescere e vincere la continua sfida con se stessi.
6. Quanto costa diventare un vero chef in tempo, denaro, viaggi, contatti…? Costa moltissimo. In termini economici ci sono varietà di corsi che vanno da 3 mila fino a 20 mila euro e più. In termini di tempo il costo è altissimo. Io stessa di tempo libero ne ho poco, pochissimo, figuriamoci un professionista dei fornelli. Tutti gli chef con cui ho parlato sono animati da una enorme passione, hanno grande spirito di sacrificio e ammettono che la propria vita privata e quella familiare sono spesso in secondo piano rispetto al lavoro. Ovviamente, quanto più si tratta di chef noti al grande pubblico, tanto più al lavoro in cucina si affiancano altri impegni: viaggi, esibizioni, partecipazioni a programmi tv o eventi. E il tempo libero si riduce ancora di più.
7. Scuole alberghiere, corsi, master …. Come e dove si forma un vero professionista dei fornelli? L’alberghiero, per chi vuole entrare nella ristorazione, garantisce una formazione più adatta. Ma conosco chef che hanno raggiunto il traguardo della stella Michelin che sono autodidatti. Io avrei mantenuto il diploma di liceo classico e mi sarei iscritta a una scuola di cucina di eccellenza come Alma, di Gualtiero Marchesi. Una scuola che ho avuto modo di conoscere e che secondo me forma i professionisti di domani. Poi avrei certamente fatto stage in cucina all’estero, master di specializzazione nei settori di mio interesse e tanta gavetta..
8. L’alta cucina è ancora quasi solo un mondo di uomini? Quanto e perché … qualche piccolo aneddoto. In effetti i dati parlano chiaro, i grandi chef sono soprattutto uomini, anche se ora in Italia c’è un piccolo fronte di donne che avanzano. La motivazione forse potrebbe essere legata al fatto che la cucina è un mestiere totalizzante, difficilmente gestibile negli orari e questo, a una donna che spesso è o vorrebbe essere mamma, può creare problemi. Un aneddoto? Ricordiamoci che dietro ogni grande chef c’è sempre una grande cuoca: la mamma.
9. La cucina televisiva, gli chef divi e il boom di iscrizioni agli istituti alberghieri. Rischi e
opportunità della spettacolarizzazione del cibo. Il rischio principale, secondo me, è perdere di vista il concetto che fare lo chef è un mestiere duro, durissimo, che richiede studio, gavetta, sacrifici. Bisogna che sia chiaro che la stragrande maggioranza di chi lavora in una cucina non andrà mai in televisione, non condurrà mai un programma, non farà mai fortuna con show cooking e pubblicazioni di libri. La maggior parte degli chef vive lavorando in cucina per lunghe ore al giorno, in un lavoro che è anche routine: alzandosi presto al mattino e rientrando tardi a casa, con tutto ciò che consegue dall’avere pochissimo tempo libero anche a livello affettivo. L’opportunità della tv, invece, è quella di potere diffondere una vera cultura alimentare, possibilmente del made in Italy, dell’importanza del mangiare sano, equilibrato, dell’usare prodotti freschi, di stagione, sostenibili. Insomma, per uno chef andare in tv vuol dire avere una vastissima platea generalista a cui potere insegnare non solo come cucinare, ma soprattutto come cucinare bene e in modo sano. Va infine detto che i programmi che spettacolarizzano tanto il cibo sono quelli da cui si impara meno; mentre ci sono trasmissioni minori che insegnano a cucinare passo dopo passo.
10. Lo chef italiano del nuovo millennio fra creatività e tradizione. Meglio privilegiare una delle due per non tradirle entrambe? Non penso. Penso invece che la tradizione debba necessariamente essere la solida base imprescindibile da cui partire. Lo studio dei fondamentali è propedeutico a qualunque altra cosa. Se non si sa preparare un piatto regionale o tradizionale non si può certamente inventare un piatto straordinario e innovativo. Ma una volta acquisite solide basi, la crescita per uno chef è anche andare a esplorare ambiti nuovi, sperimentare, creare, esercitare la fantasia, anche per sconfiggere la routine della cucina, che può essere un nemico che non perdona.
11. La moda degli “home restaurant” un commento da chi se ne intende. E’ recente l’orientamento del legislatore che, per gli Home Restaurant, potrebbe far valere le stesse regole che valgono per tutte le attività di somministrazione di cibi e bevande, sia a livello fiscale, sanitario, amministrativo. Lo trovo corretto, soprattutto da un punto di vista igienico e sanitario. Deve esserci chiarezza sulle qualifiche in mano a chi somministra alimenti e sulle responsabilità in caso di incidenti, intossicazioni o altro. Detto questo, temo che la necessità per legge di adeguare un’abitazione ai parametri previsti dalla legge per la ristorazione potrebbe mettere in difficoltà gli home restaurant attualmente attivi.
12. Educazione alimentare e buona cucina, quanto è importante e come farla. Non è solo importante ma è fondamentale fare educazione alimentare, ancora prima che fare buona cucina. Perché non sempre si mangia a casa e si deve mangiare bene, sano e in modo intelligente anche al ristorante. Importante soprattutto insegnare l’educazione alimentare ai più piccoli, sia perché saranno gli adulti di domani, sia perché possono rappresentare una spinta al cambiamento anche per i propri genitori. Mai sottovalutare il peso dei più piccoli in famiglia. Penso che già a partire dall’asilo l’educazione alimentare debba rientrare nei programmi di studio, sia a livello teorico sia pratico, nella quotidiana applicazione nelle mense e magari anche con piccoli seminari.
13. I tuo piatti del cuore: quello che cucini per la persona che ami e quello che ti piace di più mangiare. Una domanda difficile: amo molto alcuni piatti della tradizione siciliana, che per me rappresentano l’infanzia, la famiglia, i legami affettivi, perché sono cresciuta in una famiglia molto unita, con l’abitudine di mangiare sempre a tavola, tutti insieme. E il cibo è un atto d’amore. Al contempo mi piace molto creare qualcosa di unico e particolare per le persone che amo, per fare loro provare il gusto di un regalo creato solo per loro. Quindi è difficile dire cosa cucino per chi amo: potrei preparare una tradizionalissima caponata di melanzane ma anche un piatto sperimentale inventato da me, come un risotto con pane burro e alici. In entrambi i casi sarebbe un atto d’amore. Quello che mi piace di più mangiare? Il piatto che non ho ancora cucinato.
14. La ricetta che detesti e la tua opinione sui piatti a base di insetti? Ci sono solo due cibi che non riesco a mangiare, ed entrambi purtroppo sono considerati cibi per buongustai e quindi me ne dolgo, ma è più forte di me. La carne cruda e la trippa. Quanto ai piatti a base di insetti, ci sono tanti Paesi nel mondo dove mangiare insetti, fatto che per noi è sostanzialmente un tabù alimentare su base psicologica, è del tutto normale, anzi necessario in quanto sono ricchi di proteine. Ovviamente non posso negare che anche io avrei delle reticenze, non sono affatto certa che li assaggerei, ma mia nonna mi dice sempre “non dire mai che non berrai a questo o a quel pozzo”. Chissà. Quello che non mi piace è l’uso degli insetti nella cucina occidentale come ‘curiosità’ o ‘provocazione’: noi siamo fortunati a potere disporre di proteine di tipo diverso e mi sembra irrispettoso verso chi non ne ha agitare lo spauracchio ‘il nostro futuro si baserà sugli insetti?’ quando questo, per milioni di persone, è già il presente.