Orange wines asso nella manica di molti sommelier

Lisa Cardelli Sommelier AIS

Orange wines asso nella manica di molti sommelier

Lisa Cardelli sommelier AIS nata a Lucca e attiva a Melbourne spiega gli Orange wines categoria di nicchia, non accademica e spesso vista con scetticismo

Lisa Cardelli Sommelier AIS

Lisa Cardelli Sommelier AIS

Di Lisa Cardelli
La mia prima esperienza con un orange wine fu nel 2010, quando ancora non ero sommelier Ais, e già’ avevo la fortuna di lavorare a Sydney come Commis Sommelier presso un ristorante italiano. Dalla loro interessante carta dei vini scelsi, un giorno, l’unica bottiglia rimasta, ed ormai da troppo tempo invenduta, del romagnolo Denavolo Dinavolo, incuriosita piu’ dal fatto che potessero esistere vini color arancio, che dal nome alquanto allusivo. La prima impressione che ebbi fu

Orange wines decantazione

Orange wines decantazione

quella che il vino fosse tremendamente ossidato ed imbevibile! Allo stesso tempo però la sua struttura tannica e la pienezza di bocca mi lasciarono perplessa e mi portarono a discutere di quel vino per giorni, senza cavarne una valida conclusione a proposito della sua qualità.
Da allora ho nutrito una sempre maggiore curiosità nei confronti di questa categoria e seppur per motivi di lavoro e viaggio non sono riuscita sino ad ora a visitarne i maggiori esponenti, ho sempre cercato di assaggiarne diversi esempi, prezzi permettendo poiché molto costosi.

Gravner

Gravner

Dei vini sino ad ora bevuti o degustati: 2005 Gravner “Anfora” (anche se sembra che Josko non si consideri un produttore di orange wines, a dispetto dell’ovvio colore del vino) e 2006 Radikon “Oslavje” bianco, i miei miti per complessità’ e concentrazione.
2010 Zidarich malvasia con un intensissimo profilo fruttato e floreale condito da note di spezie da mercati d’oriente, grazie alla combinazione dello splendido territorio del Carso e la bassa resa per pianta.
2012 Munjebel “9” bianco di Cornelissen, un richiamo pazzesco al forte terroir dell’Etna, una mineralità / sapidità strepitosa e dei tannini così acerbi che mi hanno

Noma Danimarca

Noma Danimarca

invitata a berne una seconda bottiglia tra qualche anno. L’abbinamento con il cibo in questo caso era d’obbligo, e una pasta di Gragnano con polipetti, pomodoro fresco, timo, prezzemolo, una spolverata di peperoncino e un tocco di vino bianco hanno completato l’opera.
2007 Vodopivec Vitovska, dai tannini morbidi e una struttura cremosa risaltata da una briosa acidità, senza dimenticare le note di pesche sciroppate, noccioline al caramello, miele di acacia e cosi via, con quell’immancabile nota di terra rossa bagnata.
2013 Dettori bianco vermentino e Dettori “Renosu”, 2009 Dario Princic “Trebez”.
2012 Didi “Giallo” sauvignon blanc di Tom Shobbrook, dalla Barossa Valley, Sud Australia. Sei settimane di macerazione su bucce, fermentato in botti di terzo passaggio, presenta tannini setosi e un’untuosità di bocca bilanciata dalle note semi-aromatiche tipiche del sauvignon.

COS anfore

COS anfore

Indubbiamente l’aspetto più affascinante di questa categoria è la loro lunga storia e la totale libertà o quasi lasciata al vino, che con una sua storia e origine, si evolverà’ come una singolare creatura vivente. Le bucce, i vinaccioli e raspi lasciati a fermentare con il succo, come nel celeberrimo esempio del georgiano qvevri, lasceranno un’impronta del suolo dove l’uva è nata e cresciuta, del clima di cui ha goduto e sofferto, della mano dell’uomo intervenuta con cautela o rimasta in disparte.
Lunga storia perché risalente probabilmente al 3,150 ac, secondo il Dr.Patrick McGovern dell’universita’ di Pennsylvania, che spiega di un’anfora egiziana dell’epoca mostrante residui giallognoli insieme a vinaccioli e bucce. Simili potrebbero essere i “gialli” a cui Plinio si riferiva quando scriveva “il vino ha quattro colori…bianco, giallo, rosso e nero”.

Orange wines

Orange wines

Singolare creatura perché è un continuo evolversi nella bottiglia, perché ha più o meno respirato ossigeno, a seconda dello stile del vino e la filosofia del produttore (c’è chi incoraggia più ossidazione o chi preferisce aggiungere solforosa solo per esempi giovani da immettere subito sul mercato, come Radikon). Perché all’inizio puòapparire timido e chiuso, ma con il giusto avvicinamento e tempo mostra il meglio di se’; e perché mai sarà fatto in serie. Al riguardo credo che in alcuni casi approcci troppo ossidativi provochino la perdita del profilo aromatico e fruttato che è un po’ la caratteristica dei vini bianchi e che in questo senso non siano sempre capaci come i rossi a trasformare difetti, come il brettanomyces ad esempio, in particolarità uniche che possono o meno piacere al degustatore.
Secondo Radikon la macerazione deve avvenire in presenza di lieviti indigeni e senza alcuna temperatura controllata, “perché anche a 20° si potrebbe macerare per un mese e ancora non ottenere colore perché è troppo freddo per poterlo estrarre”. Questo approccio mi trova d’accordo da una parte, poiché’ il vero vino si fa in vigna e non in cantina, come diceva il mitico Veronelli. Dall’altra parte però con questa filosofia si è un po’ schiavi dell’annata, dove pessime condizioni metereologiche porteranno alle eventualità di manipolazioni in cantina o al contatrio a rischiose produzioni non- interventistiche, con un finale che potrebbe essere al di sotto dell’aspettative di mercato.

Lisa Cardelli

Lisa Cardelli

I migliori esempi certamente sono complessi e pieni di vita, con un’inaspettata combinazione di aromi e struttura. Con il cibo i tannini scompaiono, e la versatilità del loro straordinario profilo aromatico diventa apparente. Particolarmente adatti a sapori robusti come formaggi maturi o il francese Rambol alle noci, carni in umido e speziate, si abbinano anche a piatti a base di pesce accompagnati da salse più strutturate, oltre a risotti più elaborati come ai funghi porcini. I vini che hanno avuto una macerazione sulle bucce più breve saranno più adatti a piatti di media delicatezza, come una pasta fatta a mano con molluschi quali moscardini, lumachine, polpi.

Mostrano il loro meglio in bicchieri ampi e richiedono tempo ed eventuale decantazione, oltre a una temperatura di servizio non troppo bassa, specialmente nel caso di vini più strutturati come la ribolla gialla di Radikon.
Sono senza dubbio l’asso nella manica di molti Sommeliers in giro per il mondo, che si trovano molto spesso ad abbinare il vino con una varietà di cibi innovativi e unici, basti pensare al famoso Noma. La versatilità degli orange wine di sicuro aiuterà nell’intento e permetterà eventualmente di servirli in abbinamento, soprattutto grazie alla loro struttura tannica e complessità organolettica, anche dopo certe tipologie di vini rossi. Il grande problema rimane ancora quello di essere una categoria di nicchia, non accademica (non si trovano menzioni al riguardo su molti classici libri rivolti al settore), e vista con scetticismo da molti, soprattutto dai clienti “moderni” che amano i vini non troppo complicati, espressivi sin da subito, senza sedimenti o colori diversi dal classico giallo-paglierino e rosso rubino e, in particolar modo in Australia, senza troppi tannini.
Letto per voi da Donatella Cinelli Colombini